RIBERY PORTA A SPASSO IL LUPO: 1-3 TRA LECCE E FIORENTINA, MA LA TESTA E’ GIA’ A MARASSI

| 15 Luglio 2020 | 0 Comments

di Annibale Gagliani______

Affrontare Scarface non è semplice: mitra, velocità, spietatezza. Le stesse che gli hanno fatto sfiorare il Pallone d’Oro nel 2013. Le stesse che per poco non infrangevano il capolavoro dell’Italia di Lippi a Berlino. Metti un gruppo di ragazzi al suo servizio, i soli tre punti dalla salvezza, un cappellino in panca che di permanenze in A se ne intende – Beppe Iachini –, e capisci che l’impresa per il Lecce è complicata, seppur alla portata.

Al primo minuto Caceres crede di passeggiare nel barrio con una tequila ghiacciata nel pugno e sbaglia: un controllo mancato da principiante dalla sua metà campo. Poco dopo Babacar prova a farsi perdonare la traversa di Cagliari con una girata innocua in area viola. Spara ancora a salve. I ritmi sono serrati, Pradè ha qualificato la sfida del Via del Mare come l’appuntamento dell’anno per i suoi, una mezza bugia, dati i sogni europei d’inizio stagione. Il Lecce dalla sua ringhia alla salvezza: azioni manovrate ad alta velocità e improvvisi capovolgimenti di fronte parlano di un match dal sicuro spettacolo. Al quinto minuto, da un errore in disimpegno di Rispoli, Cutrone taglia il limite dell’area e imbecca con un filtrante maligno il Conte di Montecristo viola, Federico Chiesa, che di piattone insacca, sbloccando la contesa. 0-1 per il giglio, ma è solo l’inizio.

Al decimo tocca a Ribery scaraventare lampi di tecnica purissima sul terreno di gioco: galoppa in contropiede, sentendo l’odore di Cutrone in area avversaria, che si inserisce, supera Gabriel e si fa atterrare. Rigore per gli ospiti. Pulgar è uno specialista nel realizzarli, Gabriel nel neutralizzarli: il portiere carioca para di giustezza e tiene in vita i giallorossi, mettendo una pezza, nell’azione successiva, ancora su Cutrone, come un portiere da hockey.

Il Lecce somatizza lo smacco e riparte alla stregue di un soldatino sul Carso per riprendere il risultato. Palleggia bene, con criterio e qualità, e si lascia trascinare dalla voce portata allo stremo da Liverani. Soffre le ripartenze di due uomini in grado di ribaltare l’azione in pochi secondi: Chiesa, tornato in versione Nazionale per una notte; Ribery, che sfreccia per tutto il campo come un ragazzino sull’asfalto. I padroni di casa protestano a metà tempo: nel bel mezzo di una assembramento da saloon in area ospite, Lucioni viene steso, chiedendo, con cognizione di causa, la massima punizione. Ma Guida non è d’accordo.

Dopo un paio di tiri verso la solitudine delle curve da una parte e dall’altra, cerca di salire in cattedra Farias, con delle incursioni palla a terra verso il fortino nemico. Tentativi che esprimono una sentenza: il ragazzo è bravo, ma non si applica. Colpa del solito tocco in più.

Paz giganteggia in difesa, Rispoli continua a regalare brividi lungo la schiena con una costruzione approssimativa. Il lupo della serata ventilata a due passi dal mare è anche questo.

Al trentaseiesimo Duncan è stanco di vedere le scie di Chiesa e Ribery abbagliarlo: cerca di imitarli in grande stile: dalla sua trequarti arriva nei pressi dell’area avversaria, stramazzando al suolo: punizione. Donati sembra aver preso il pallone, l’ammonizione per lui è gratuita. Dai ventitré metri si presenta Ghezzal: carezza di sinistro alla sfera, Gabriel di sale. Un colpo durissimo per i salentini che vanno letteralmente al tappeto: un lancio dalle retrovie viola pesca Cutrone, abile ad eludere il fuorigioco e a mettere la palla nel sacco. 0-3 che ammazzerebbe anche un Dio greco.

La Fiorentina rallenta, Farias ha l’occasione per dare un senso ai giochi a due minuti dalla sirena: si fa spazio in area, sfruttando un disimpegno errato, ma a pochi metri dalla porta, spalancata davanti a lui, spacca la traversa. Non siamo sulla spiaggia di Bahia, serve cattiveria: è passata quasi una stagione e il funambolo brasiliano non lo ha ancora capito. Perseverare è diabolico.

Il tè freddo del primo tempo è cianuro per il mondo licantropo, preoccupato dal baratro sotto i suoi piedi: i toscani hanno indovinato la loro personale finale.

Nella seconda frazione Saponara rileva Farias, nel tentativo, spuntato dalle tante assenze, di realizzare l’impossibile. Falco, Lapadula, Deiola in questa fase del torneo sono defezioni che spostato gli equilibri: recuperarli è l’unica manna possibile.

Il Lecce cerca disperatamente di segnare il gol della bandiera, ma la frenesia è la peggior nemica di chi insegue. Il giglio amministra, con la direzione d’orchestra di Ribery, che dispensa calcio con autoritaria leggiadria. Troppo superiore rispetto agli altri diciannove comprimari di movimento. Gabriel evita il poker più volte con parate spettacolari, che fanno strappare i capelli a Cutrone, sempre affamato di segnature. La padronanza delle sorti del match dei toscani non è in discussione: al lupo serve un miracolo, in tempi di magra del sacro.

Liverani comincia a far riposare qualche pedina preziosa per la sfida senza appello di Marassi: prima Paz, poi Petriccione. E poco importa se Shakhov la mette dentro di piattone vicino al dischetto su suggerimento di Vera: una serata così pesante di certo non se l’aspettava, lui che è l’unico mister non esonerato delle ultime otto compagini di campionato, lui che gioca a testa alta contro tutto e tutti. Il tempo scorre inesorabile, sembra la recita settimanale dell’allenamento: le emozioni evaporano. 1-3 al triplice fischio, la testa dei salentini è già altrove. I viola hanno cercato e afferrato la salvezza. Il Lecce deve costruirsela con cinque finali: Genoa nei pressi del carcere in trasferta, Brescia in casa, Bologna fuori a salire sulle Tre Torri (la terza è Sinisa), Udinese ancora fuori e infine il Parma magari davanti una porzione di pubblico amico.

Bisogna recuperare gli infortunati, fondamentali in questa fase, bisogna rigenerare corpo e mente con le stesse energie nervose in grado di portare quattro punti tra Lazio e Cagliari. Scampare al purgatorio è una questione di lotta totale: serve arare ogni centimetro del campo per garantirsi un posto nel paradiso venturo. Il Lecce vivo, non muore mai. Un punto di partenza per non limitarsi a tifare granata allo Stadio Grande Torino, ma per issare il vessillo giallorosso nella crêuza rossoblu della repubblica marinara.

Category: Sport

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