OCCHIO SUL CINEMA EUROPEO: IL BATTITO PSICANALITICO DI KIM ROSSI STUART

| 13 Aprile 2018 | 0 Comments

di Annibale Gagliani______

Non puoi interpretare l’emblema della ribellione, la personificazione della rabbia, se non hai una sensibilità nettamente sopra la media. Non puoi interpretare un parafulmini della giustizia, un uomo divorato dai conflitti interiori, se il metodo di immedesimazione non è totale.

Kim Rossi Stuart lo può fare. Grazie alla sua empatia atavica, figlia di una giovane esistenza menata nella Roma rockettara dagli anni Ottanta. Ma soprattuto grazie ai compiti di primattore nelle perle di Michele Placido: Romanzo Criminale e Vallanzasca – Gli angeli della morte. Realismo allo stato puro. E poi tanto altro, fino ad arrivare al recente Maltese – Il romanzo del commissario, compito pregno di stile e savoir faire. Un artista a tutto tondo, che scrive per sceneggiatura e narrativa, che ama attivamente curare la regia filmica e che si fa trasportare soltanto da progetti non scontati: un David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Globi d’oro, tre Ciak d’oro e tre Premi Flaiano non li ha vinti a caso. Ce lo invidiano moltissimo all’estero: Stati Uniti, America Latina e Asia farebbero carte false per portarlo nella loro serialità rampante.

In quasi mezzo secolo di esistenza ha lavorato in quarantacinque film, esordendo come regista a Cannes con Anche libero va bene (titolo beffardo quanto ficcante).

Il cinema gli faceva paura da ragazzino, avrebbe preferito una vita tranquilla da muratore acrobatico. Ma la Quinta Arte non scherza e i migliori mica li sceglie, li folgora: in una giornata di sole pallido, a dodici anni, Kim chiedeva l’autostop sul raccordo anulare per poter tornare a casa; ironia del destino vuole che a fermarsi per raccogliere quel ragazzino dagli occhi di ghiaccio è l’autore per piccolo e grande schermo Pietro Valsecchi. Con una proposta lavorativa di quest’ultimo, proferita quasi per gioco, comincia il lungo viaggio di Kim nel mondo dalla reale finzione.

A quindici anni si prodiga seriamente per diventare un grande attore: segue un workshop full immersion sul metodo Stanislavskij, rendendosi conto che la pellicola è mossa in primis da impulsi cerebrali, prima che fisici. Questo insegnamento diviene la pietra angolare sulla quale erige la fortezza d’interprete: il lavoro di entrata – in punta di piedi e con totale introspezione – in un personaggio, diventa per lui «ricerca etica in una parabola esistenziale». Indagine rivolta specialmente sulla questione morale, che si riverbera nelle analisi profonde dei sentimenti umani: ogni soggetto è come un iceberg e Kim lo sa bene. Perciò si immerge nell’acqua dell’umano e nuota giù, verso la base. Da lì osserva il fondo del ghiaccio, quello più doloroso ed echeggiante: narrazione freudiana, intrisa di sapiente tragedia aristotelica.

Storia di un impiegato di Fabrizio De André, il romanzo musicale più esplosivo della storia d’Italia, ha un volto: il suo.

Kim Rossi Stuart ha ricevuto l’Ulivo d’oro – per la variegata ed efficace carriera – in questa diciannovesima edizione del Festival del Cinema Europeo. Mai scelta fu più giusta: egli non si soffermerà ad appoggiare il Sommo dorato sul comodino, ma lo vivisezionerà. Il tutto per comprendere a pieno le venature di una terra che difende le proprie radici: senza avvelenare i valori, con tarantato tormento.

Category: Cultura, Eventi

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